| Qualche giorno dopo che eravamo diventati amanti, osando fare un sessantanove, che, d'altra parte, Carolina apprezzava, a quanto mi era dato di vedere e di udire, mi ero goduto per tutto la durata dell'evento, il buchino di culo rosa e marrone che, con i suoi cambiamenti di forma e di dimensione, mostrava la partecipazione appassionata della parte al piacere del tutto. Quando avevo osato accarezzare delicatamente le crespe rilevate, lei non aveva protestato e, quando finalmente era venuta in un tripudio di urla argentine, il buchino aveva cominciato a sussultare, aprendosi e chiudendosi lascivamente davanti ai miei occhi sbarrati dalla lussuria. Dopo ancora un paio di scopate appassionate e dopo che, sull'erta del piacere mi aveva sussurrato all'orecchio: "Mettimi un dito in culo, amore mio" facendomi sciogliere in brodo di giuggiole, eravamo stati più di mezz'ora abbracciati, beandoci ognuno della gentilezza e delle premure dell'altro, speranzosi che potesse ripetersi un momento come quello, ma timorosi, come chi è veramente innamorato, che potesse anche essere l'ultimo. Alcuni giorni dopo, trovato il sistema di stare insieme, ché il marito di lei non era in casa, mentre ci sbatacchiavamo sul letto in tutte le direzioni, ci eravamo ritrovati nella posizione che tanto ci aveva entusiasmato durante il coito precedente. Questa volta, mentre leccavo assatanato la vagina e il clitoride di Carolina, col naso e gli occhi sul buco di culo abbottonato e carnoso, non ero riuscito a trattenermi e, con la lingua, dopo aver lambito il perineo, avevo osato sfiorare lo sfintere anale. Un guizzo su tutto il corpo, che mi si era comunicato alla lingua come una scossa elettrica, mi disse che Carolina gradiva e allora con maggior decisione, avevo preso il coraggio a due mani e avevo iniziato il massaggio linguale che dall'esterno avrebbe voluto precipitarsi nell'interno del budello della bella. Lei cominciò a spingere il sedere verso la mia bocca, quasi volesse farsi penetrare più profondamente dalla lingua e, insieme, per mugolare ed urlare più liberamente, ogni tanto, staccava la bocca dall'uccello e lo masturbava soltanto con le mani. Allora, mentre le allargavo le chiappe con i pollici, in modo di poter infilare meglio la lingua nell'ano dilatato, preso da un raptus, le inserii uno dei pollici nel sedere. L'ampia lubrificazione salivare e il buchino eccezionalmente elastico consentirono una penetrazione veloce e soddisfacente per me e per Carolina, tanto che la vista di quel pollice che sporgeva dalle crespe nere della mia fata mi fece venire la voglia di inserire anche l'altro. Sputai accuratamente sull'ano fremente della fanciulla e sparsi la saliva su tutta la superficie increspata. Poi provai ad inserire il pollice che scivolò come se il culo fosse di burro. Parolina aveva smesso di succhiarmi l'uccello e io ero contento perché potevo concentrarmi completamente sul suo fornice di velluto. Quando i due pollici furono con le unghie affrontate, mi feci coraggio e provai ad allargarli. L'ano cedette ed ad un certo punto sentii con i pollici che la mucosa degli sfinteri si era separata ed in mezzo c'era davvero un buchino. Dall'apertura uscì un po' d'aria. Carolina lanciò un urlo. Mi disse: "Che fai, mi stai aprendo come un cozza!" Poi si girò e feci disinserire i pollici dall'intestino retto. Quando, dopo la sarabanda, eravamo stretti come una rampatella e uno scoglio, mi guardava con lo sguardo adorante che io non potevo non ricambiare. La volta seguente che ci trovammo insieme, stavamo a casa mia, perché questa volta era mia moglie ad essere occupata. I preliminari furono, come al solito, violenti. Vagammo per tutto il letto senza mete che non fossero i nostri buchi e le nostre escrescenze, ma, sebbene io lo cercassi in tutti i modi, non riuscii a mettermi nella posizione del 69. Non che lei non volesse imboccarmi l'uccello, anzi; quello che non voleva era permettermi di leccarle la fica. Ad un certo punto cominciò a leccarmi l'uccello, ma il petto le stava sulle mie ginocchia e quasi non arrivavo a toccarle il culo. Quando il pene fu rigido da culo si volse, si mise di spalle tra le mie braccia e fece strusciare il suo sedere sul mio cazzo. "E' un po' di tempo che mi piace farmi frequentare in questa maniera". E sporsi più in fuori il sedere polposo. Io mi afferrai il pene e lo diressi verso la vagina. Quando sfiorai il buco del sedere, mi accorsi che era estremamente bagnato e mi meravigliai che il muco vaginale di Carolina fosse scaturito con tanta abbondanza. Quando ebbi appuntato il pene sulla vagina di Carolina, sentii la sua mano spingere sulla sua parte anteriore. Non ci volle molto, una spinta leggera e il glande si trovo sull'altra apertura. Una spinta e la lubrificazione era tale che il tronco, dopo il glande, entrò nel sedere di Carolina fino alle palle. Solo allora mi si presento alla mente l'ipotesi che tutto quel liquido non fosse provocato dalla vagina, ma fosse stato messo apposta per lubrificare l'ano. E la rivelazione, la scoperta che Carolina si fosse preparata a farsi inculare da me, mi fece eccitare ulteriormente. Cominciai a fare avanti e indietro con violenza e quando venni, pensai di averle rotto letteralmente il culo, ma il sorriso angelicato che le ornava il viso mi convinse che il suo era stato tutto piacere e che la lubrificazione era stata esemplare. Più tardi, mentre ci scambiavamo coccole, Carolina mi confermò che s'era lubrificata perché voleva darmi il culo. "Ero tanto emozionata, quando mi hai messo i pollici in culo. Mi hai fatto un po' male, ma tutta la passione che ci avevi messo, mi aveva emozionato. Tu eri innamorato del culo, cioè di me, di una parte di me. Ne eri tanto innamorato che te lo ho dovuto dare." La volta seguente ci eravamo visti in un motel. Non avevamo resistito al dover aspettare che uno dei nostri coniugi decidesse o fosse obbligato a passare un pomeriggio fuori casa. Anche questa volta, durante la sarabanda iniziale, Carolina non volle mettersi a 69. Come la volta precedente, ad un certo punto mi imboccò l'uccello. Questa volta lei era a pecorina, davanti a me che ero in ginocchio e succhiava come un'idrovora. Quando il pene era diventato rigido, si era sdraiata a pancia in giù e si era aperta le natiche con le mani, invitandomi chiaramente alla sodomizzazione. Io mi ero avvicinato tremante, ma quando avevo toccato il buchino affatturato, mi ero accorto che era secco e renitente all'entrata del dito. Poco convinto avevo appoggiato il cazzo all'entrata e avevo spinto. Carolina aveva emesso un urlo disperato e si era girata guardandomi severamente. Io stavo lì confuso e la guardavo pentito. Dopo un po' sorrise e mi disse: "Avanti, non posso mica rinunciare per questo. Riprova!" E si sdraiò ancora a pancia in giù aprendosi di nuovo coraggiosamente le natiche con le mani. "Qui non c'è lubrificante" risposi io "proverò con lo sputo". "Si, bagnamelo" consentì lei "magari con la lingua!" Stavolta il culo odorava di culo ed era evidente che non c'era stato nessun addomesticamento artificiale. L'urlo di Carolina mi aveva convinto ad essere gentile e premuroso e, alla fine dell' operazione, il buchino sembrava cosparso di olio di vaselina. Sicché, quando appoggiai di nuovo il glande sullo sfintere, il pene si addentrò nel budello senza eccessive difficoltà, ma Carolina si lamentava. E continuò a lamentarsi durante tutto l'andirivieni, sebbene io sentissi che il cazzo procedeva senza intoppi. Anzi, quando io le chiesi premurosamente se dovevo fermarmi, lei mi rispose che dovevo continuare e intanto aveva afferrato il lenzuolo fra i denti e stringeva parossisticamente. Dopo essere venuti più volte, mentre ci sbaciucchiavamo romanticamente, alla mia richiesta di spiegazioni, per un comportamento che mi sembrava stravagante, mi confessò ridacchiando che aveva rifatto la scena di un film porno che aveva visto insieme con suo marito. Con lui non aveva avuto il coraggio di interpretarlo, con me si e si era divertita tanto. Per un po' con Carolina ci vedevamo in macchina e pomiciavamo nelle campagne circostanti, con nostalgiche rievocazioni di incontri adolescenziali, ma con inconvenienti di freno a mano e volante. Ci eravamo imborghesiti e il letto e il tepore e la separazione col mondo ci mancava, sicché, in mancanza di altre possibilità Carolina di fece prestare la casa di alta collina di un' amica. La casa stava a diciassette chilometri da dove abitavamo ed era freddissima. Era riscaldata da un grande camino situato in cucina e da qualche stufa elettrica sparsa per le camere. Quando si accendeva il camino, dopo un po' la cucina si arroventava, ma il resto della casa continuava ad essere freddo. Noi bevevamo vino rosso, mangiavamo castagne e salsicce e ci amavamo. Nella cucina ci spogliavamo nudi, ognuno beandosi nella bellezza abbacinante dell'altro. Quella sera dopo preliminari enologici l'avevo stesa sulle mie ginocchia, col sedere orientato verso il fuoco che lo riscaldava e scherzava con luci e ombre sulle carni rosee. Intinsi il dito in bocca e lo infilai nel sedere di Carolina. Lei si muoveva come una gatta che si stira al sole e ne implorò di più. Io allora misi due dita, poi tre, poi quattro. Poi misi le dita raggruppate e provai ad infilarle tutte e cinque. Carolina emetteva urla gutturali e non si sottraeva a quelle carezze, ma le dita raggruppate arrivarono fino al palmo della mano e non vollero andare avanti. Allora allungai la mano all'olio d'oliva che ci era servito per fare il cazzoimperio in cui avevamo intinto le verdure crude e lo avevo vuotato in una scodella. Poi avevo intinto la mano destra e avevo proceduto a riprovare l'introduzione. Carolina singhiozzava e la mano entrò fino al polso. Io chiusi a pugno le dita e, mentre con la sinistra le stuzzicavo il clitoride, venne in una maniera che non mi sarei mai aspettato, tanta fu la confusione. Più tardi, quando la tenevo sulle ginocchia, nuda lei e nudo io, bruciati dal fuoco, e la baciavo diffusamente, le dissi: "Sembravi una bestia al macello" e lei si offese e fece il broncio. "Non ti offendere - dissi io - era un'osservazione amichevole. Sono contento, di aver contribuito a questo tuo piacere esagerato". Lei si distese e mi rispose: "Scusa. È che sono un po' permalosa". E sorrise radiosa.
|